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1982 - Soldati Corgnati, Lo Scopone

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Il libro consta di due parti, la prima, scritta da Mario Soldati, consiste di una serie di episodi legati al gioco; la seconda, scritta da Maurizio Corgnati, è più tecnica. Biografia e notizie su Soldati le troviamo nel Capitolo dei Personaggi della Cultura nella Storia dello Scopone: leggende e realtà, qui ci limitiamo a recensire il libro.
Mario Soldati parla della sua grande passione per il gioco; significativo a tal proposito è il primo episodio, U Taggiacarte.
Egli racconta che a Trieste, una notte di settembre, ritrova un amico conosciuto e frequentato a Torino nel 1922, essi condividevano la passione politica contraria al fascismo; il suo soprannome era U Taggiacarte, il tagliacarte, per via della sua incredibile magrezza.
Soldati stava giocando a Scopone con altri tre e prega l'amico di aspettarlo; però perde il “giro” cioè le tre partite fatte cambiando sempre il socio; essendo l’unico perdente voleva rifarsi; passa il tempo e l’amico venuto da lontano deve scappare. Lasciandolo, gli domanda se avesse imparato a giocare a carte da poco perché mostrava tutto l’ardore del neofita. Soldati è imbarazzato, confuso, mortificato e si congeda dal vecchio amico dispiaciuto di non essere riuscito a dedicargli qualche momento per rinverdire il ricordo degli anni passati assieme. Solo dopo gli viene in mente la giusta risposta “Certo – avrei dovuto dirgli – Certissimo! Sono un neofita. Però, da anni e anni che gioco a scopone, continuo a imparare a giocarlo e sono sempre più un neofita. Sempre più. Ecco, del resto, perché amo lo scopone”.
1982 Soldati Separe giocoRacconta poi la sua esperienza in un Torneo di Scopone: “Ciascun tavolo era diviso in quattro scomparti di  compensato che impedivano ai quattro giocatori di vedersi l’un l’altro – ma con una nicchia semicircolare, anzi un vuoto semisferico praticato al centro dell’intersezione dei quattro  scomparti, così che, sul tappeto verde, esisteva lo spazio dove posare le carte in modo che fossero visibili a tutti e quattro i giocatori. Non basta. Di sentinella a ciascun tavolo montava un cosiddetto Gentilôm, il quale prendeva dalla mano del giocatore, ogni volta, la carta che doveva venir giocata, e la deponeva, con un gesto solenne, neutro e sempre uguale, al centro del tavolo, nel semisferico spazio libero. Parole, voci, esclamazioni, colpi di tosse, starnuti erano rigorosamente proibiti, pena una squalifica immediata da parte del Gentilôm, il quale, a pause altrettanto lunghe delle lunghissime riflessioni con cui tutti quegli sciagurati giocavano le loro carte, girava intorno al tavolo … uno degli sciagurati ero io … lo scopone dei tornei non mi aggrada. Tutto il divertimento, tutto il valore dello scopone nasce da un’atmosfera di cordialità, di fiducia reciproca, insomma di vera amicizia”. Soldati si riferisce al cosiddetto separè (sopra quello usato dalla UIGC nei Tornei, diverso da quello descritto da Soldati); esso dovrebbe servire ad evitare segnali proibiti tra compagni di gioco. Insomma il problema della segnalazione delle carte disturbava Mario Soldati, così come dovrebbe disturbare qualunque giocatore di Scopone: vincere va bene, vincere barando a cosa serve ???  Ed ecco la conclusione poetica nel sesto episodio, Stella Nera: “Lo scopone è di gran lunga il gioco più bello, più affascinante di tutti i giochi perché si basa metà sulla fortuna e metà sulla capacità di ricordare e calcolare. Lo scopone è un tempo fuori del tempo. Lo scopone è il gioco degli Dei”.

 

1982 Soldati Corgnati Copertina


Vediamo ora la seconda parte, quella di Maurizio Corgnati. Essa parte con una specie di confessione in cui l’autore afferma: “nonostante il titolo, questo non è un vero manuale dello scopone”; egli, nativo di Torino, si considera giocatore debole nella teoria, anzi convinto assertore della impossibilità di fare teoria a proposito del gioco. Critica gli amanti dello Scopone a  10 carte, da lui ritenuto non scientifico. Parla poi dello spariglio ed osserva che alla coppia di mano, Est – Ovest, conviene mantenere dispari il numero di carte sparigliate; molto giusto, forse è il primo a dare questo principio, anche Aurelio Verdina sostiene ciò.
Nel capitolo sul Chitarrella, è la moglie di Corgnati che parla: “Cosa vuoi che interessi alla gente del Chitarrella ? … Si fosse chiamato Miccichè non te ne daresti pena. E poi, non si sa nemmeno se si chiamasse davvero Chitarrella. O se sia veramente esistito. Me l’hai detto tu …”. L’autore mette in bocca alla moglie il dubbio che tanti scoponisti hanno sempre avuto, almeno quelli più informati sulla storia del gioco, è uno dei pochi testi che lo dice esplicitamente ! Poi continua in prima persona: “E se la famosa prima edizione fosse esistita, è mai possibile che non ne fosse più rintracciabile nemmeno una copia poco più di un secolo dopo, da un fanatico di cose napoletane come il Chiurazzi che, tra l’altro, si occupava appunto di libreria antiquaria ? C’è davvero da  sospettare che questo mitico libro non sia mai esistito. O meglio, forse il libro del Chitarrella esisteva da tempo immemorabile, ma non in forma scritta: come i poemi omerici veniva tramandato di padre in figlio per tradizione orale. Luigi Chiurazzi … non avrebbe ripubblicato un libro, ma avrebbe riunito in volume, per la prima volta, una serie di massime antiche …”. Noi sappiamo che Chiurazzi non ha pubblicato il Chitarrella scoponistico e comunque non nel 1866 ed il primo autore di un libro sullo Scopone, Capecelatro nel 1855, non cita nessun Chitarrella !
Molto interessante è il capitolo, La scuola genovese, val la pena di illustrarlo perché veritiero ed ironico: “… sebbene lo scopone disponga di 4 punti, tutti lo giocano mirando spasmodicamente solo al settebello e alla primiera. Si assiste spesso ad una mano che potrebbe … concludersi con un 2 a 2 … e finisce invece 3 a 1 perché ai primi 2 punti si è aggiunto qualcosa di spettanza altrui. E … spesso si vede un giocatore col fiato grosso … ostinarsi a inseguire i 7 che han già preso il volo da un pezzo, disseminando … ori e carte che gli sarebbe convenuto tenersi cari … Ci sono … anche giocatori che tengono conto di tutti e 4 i punti. E c’è addirittura una scuola che insegna a non sprecarli, nata, ovviamente, a Genova. Scuola recentissima, nonostante la veneranda età dello scopone … Esclusa a priori l’ipotesi che qualche secolo fa i genovesi fossero dissipatori, mi par logico supporre che la scuola … sia antichissima, ma che la notizia si sia diffusa … solo di recente … Ma qual è il principio-guida di questa scuola, che ha come teorico e ideatore il campione Canepa ? In soldoni, questo: s’impernia la partita sul punto delle carte, cercando di favorire il maggior numero possibile di prese e prescindendo – naturalmente cum grano salis – dal seme e dal valore delle carte stesse. E’ per lo meno probabile infatti che, a gioco lungo, più carte si fanno più aumentino le probabilità di fare anche ori e primiera … Il momento determinante è l’inizio della partita. Il giocatore, valutata la forza delle sue carte, vede se è in condizione di attaccare o se deve difendersi. O, come si dice nel gergo  speciale della scuola genovese, se può «chiudere» il gioco o «aprirlo» al compagno. Logicamente, la forza dipende dal numero dei valori posseduti. Per chiudere il gioco bisogna avere sette valori diversi, il che significa due coppie, e le coppie devono essere di carte forti”. Era necessario che ce lo dicesse Corgnati ? Sì, chi scrive crede proprio di sì: naturalmente chi pensa di avere un sistema vincente tiene a non divulgarlo troppo,  Corgnati ci dà delle indicazioni che lo stesso Canepa non esplicita molto, neppure nel suo libro.
L’ultimo capitolo, prima del congedo finale, è La trasmissione del pensiero: “La «trasmissione del pensiero», come si sa, è un fenomeno ormai scientificamente scontato, come la radio e l’elettricità … I giocatori di scopone ci credono tutti, ma molti, nell’attesa che il fenomeno si manifesti spontaneamente, non potendo restare con le mani in mano, si adoperano per favorirne l’avvento. Come ? … le vie dell’empirismo sono infinite, e innumerevoli i sistemi, le tecniche e gli strumenti a disposizione dello scoponista di buona volontà, per comunicare al compagno quali carte ha in mano. Possiamo sintetizzare tali sistemi in quattro grandi categorie: a) fisico b) visivo c) auditivo d) misto”.
E conclude: “Giocare a scopone usando la «trasmissione del pensiero» non dico sia la norma, ma purtroppo è frequente nei circoli, nei caffè … Morrò e per me sarà ancora un mistero insondabile il perché l’appassionato di questo nobile gioco tenda in genere a segnalare le carte … Ma tant’è son tutte prediche inutili … Figurarsi, poi, quando la partita … è una gara, un campionato … Per questo, nelle gare ufficiali si è pensato … di eliminare la «trasmissione» … Una paratia al centro del tavolo impedisce … di scorgere il compagno … due giudici seduti tra i giocatori, precludono gli altri due sistemi di comunicazione … Ma l’inventiva non si arrende ed è infinita: lo scoponista ha trovato un nuovo inghippo: il sistema temporale … Nelle gare, il tempo massimo per giocare una carta è di 20 secondi per le prime sei carte e di 40 … per le ultime tre … ecco trovato il trucco : la carta giocata al tal secondo significa la tale cosa … in teoria i due compagni possono accordarsi su un sistema che permetta di segnalare tutte le carte … Da questa indiscutibile realtà, deriva che lo scopone giocato nelle gare … non è propriamente lo scopone classico … ma un derivato, una specie di variante …”.
E già è propro così; chiamiamolo il Chiacchierone: è lecito a chiunque di volerlo praticare ma non accostiamolo allo Scopone che ha la dignità di Scientifico: 9 o 10 carte, sempre tale rimane !!
Questo è un argomento scottante ancor oggi e, presumibilmente, uno dei maggiori ostacoli ad un rinnovamento generazionale dei giocatori.

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